Un momento dopo fui giubilante perché mi chiese, di sua spontanea volontà, di darle il Libro di cucina, del quale le avevo parlato una volta, e d’insegnarle a tenere il libro dei conti, come le avevo anche una volta proposto. Alla mia visita successiva le portai il volume (l’avevo fatto rilegare elegantemente, per dargli un aspetto più allettante); e mentre ci aggiravamo fra i campi, le mostrai un vecchio libro di conti di mia zia; e le diedi un taccuino, e un bel portamatita, e una scatola di matite, perché cominciasse ad esercitarsi nella registrazione delle entrate e delle uscite.
Ma il Libro di cucina diede il mal di capo a Dora, e le cifre la fecero piangere. Non si volevano sommare, essa disse. Così le aveva cancellate, per disegnare mazzolini di fiori, e pupazzetti che rappresentavano me e Jip su tutti i fogli del taccuino.
Allora, mentre si andava a passeggio, il pomeriggio del sabato, cercavo giocosamente d’impartirle verbalmente delle nozioni di economia domestica; e, per esempio, passando innanzi a una bottega di macellaio, le dicevo:
– Facciamo l’ipotesi, mia cara, che noi fossimo già sposati, e che tu dovessi comprare una spalla di castrato per il desinare. Sapresti come comprarla?
Il viso della mia piccola Dora diventava scuro, e atteggiava di nuovo la bocca a un bocciuolo di rosa, come se preferisse di chiudere la mia con un bacio.
– Sapresti come comprarla, cara? – ripetevo, dandomi quasi l’aria d’essere inflessibile.
Dora pensava un poco, e poi rispondeva, con un accento che pareva quasi di trionfo: – Se il macellaio me la sa vendere, che necessità c’è che io la sappia comprare?
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