Non mai metter mano a nulla che non mi potesse occupare completamente, e non mai affettare di deprezzare il mio lavoro, quale che si fosse, per me sono state sempre norme di aurea saggezza.
Quanto della pratica di questi precetti io debba ad Agnese, è inutile ripetere qui. La mia narrazione torna ad Agnese con amore devoto.
Ella venne a stare col dottore una quindicina di giorni. Il signor Wickfield era vecchio amico del dottore, e questi desiderava di parlar con lui e giovargli. Se n’era discusso con Agnese nella sua ultima visita a Londra, e la sua venuta era il risultato della conversazione. Giunsero insieme lei e suo padre. Io non mi sorpresi a sentir da lei che era affaccendata a trovare un alloggio nel vicinato per la signora Heep, la quale aveva, per i suoi reumi, bisogno di cambiare aria, e sarebbe stata felice in loro compagnia. Né mi sorpresi quando il giorno dopo, da figlio rispettoso, apparve Uriah per l’insediamento della sua degna madre.
– Vedete, signorino Copperfield – egli disse, accompagnandomisi, senza essere invitato, in una passeggiata nel giardino del dottore – una persona innamorata è sempre un po’ gelosa... ansiosa, almeno, di dare un’occhiata all’oggetto amato.
– Di chi siete geloso, ora? – dissi.
– Grazie a voi, signorino Copperfield – egli rispose – di nessuno in particolare ora... di nessun uomo almeno.
– Volete dire che siete geloso d’una donna? Dai sinistri occhi rossi egli mi dardeggiò un’occhiata obliqua, e si mise a ridere.
– Veramente, signorino Copperfield – egli disse – ... dovrei dire signore, ma so che mi scuserete per l’abitudine che ho contratta.
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