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      – Forse perché non potevo vederti, e non volerti bene, Dora!
      – Figurati che tu non mi avessi mai veduta! – disse Dora mettendo la mano su un altro bottone.
      – Figurati che tu non fossi nata mai! – dissi ridendo.
      Mi domandavo a che cosa ella stesse pensando, mentre guardavo con tacita ammirazione la morbida manina che viaggiava lungo la fila dei bottoni della mia giacca, e la folta chioma che mi pendeva contro il petto, e le ciglia abbassate, che si levavano leggermente seguendo le dita che giocherellavano. Finalmente i suoi occhi guardarono nei miei, ed essa si levò in punta di piedi per darmi, più pensosa che mai, quel prezioso bacetto... una volta, due volte, tre... ed uscì dalla stanza.
      Cinque minuti dopo ritornarono tutte insieme, e l’insolita inquietudine di Dora s’era bell’e dileguata. Ella aveva allegramente determinato, prima che ce ne andassimo, di farci assistere a tutti i giuochi di Jip. Ci volle qualche tempo (non tanto in ragione della loro varietà, quanto per la riluttanza dell’esecutore), e non erano ancora finiti all’ora della partenza. Vi fu una frettolosa ma affettuosa separazione fra Agnese e Dora: Dora avrebbe scritto ad Agnese (la quale non doveva badare alla forma delle lettere, diceva Dora), e Agnese doveva scrivere a Dora e ci fu poi un altro addio allo sportello della vettura, e un terzo allorché Dora, nonostante le rimostranze della signorina Lavinia, corse di bel nuovo verso lo sportello a rammentare ad Agnese di scriverle, e a scuotere i suoi riccioli verso di me già annidato accanto al cocchiere.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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