.. alla faccenda di cui parlammo, quando ci separammo l’ultima volta?
– No, nessuna – ella rispose.
– Ci ho pensato tanto da allora.
– Dovevate pensarci meno. Ricordate che io confido nell’affetto semplice e fedele. Non abbiate alcun timore per me, Trotwood – ella aggiunse, dopo un istante: – il passo che voi temete che io faccia, non lo farò mai.
Benché io creda che non l’avessi mai realmente temuto, tutte le volte che ci avevo meditato con fredda calma, l’assicurazione delle sue stesse labbra sincere fu un ineffabile sollievo per me. E glielo dissi candidamente.
– E quando questa visita sarà finita – dissi – ... giacché non potremo essere soli un’altra volta... quanto tempo passerà ancora, mia cara Agnese, per rivedervi di nuovo a Londra?
– Probabilmente non troppo presto – ella rispose; – penso che sarà meglio... per l’amore di papà... rimanere a casa. Non sarà probabile che per un po’ di tempo noi c’incontriamo spesso; ma io scriverò spesso a Dora, e così avrò spesso notizie di voi.
Eravamo già nel cortiletto del villino del dottore. S’era fatto tardi. Alla finestra della camera della signora Strong ardeva un lume, e Agnese, indicandomelo, mi diede la buona notte.
– Non vi turbate – ella disse, dandomi la mano – delle nostre sventure e delle nostre angosce. Oramai non posso esser più felice d’altro che della vostra felicità. Se mai potrete aiutarmi, state pur certo che ricorrerò a voi. E che Iddio vi benedica!
Nel suo radioso sorriso, e in queste ultime note della sua chiara voce, mi sembrò di nuovo di vedere e udire con lei la mia piccola Dora.
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