Ma io rispondo sulla mia vita... sulla mia vita... della felicità e dell’onore della cara donna che è stata l’oggetto di questa conversazione.
La più felice incarnazione della cavalleria, la personificazione della più bella e più romantica figura immaginata mai da un pittore, non si sarebbe mai comportata con una dignità più commovente di quella del vecchio e buon dottore.
– Ma io non ho l’intenzione di negare – egli continuò – di negare... forse posso anche essere, senza saperlo, disposto in qualche modo ad ammettere... di aver potuto contro la mia volontà, attrarre quella donna nella rete d’un matrimonio infelice. Non sono un individuo dotato di una grande facoltà d’osservazione, e non posso non ammettere che l’osservazione di parecchi, di diverse età e condizioni, tutti concordi in una stessa cosa, sia naturalmente migliore della mia.
Avevo spesso ammirato, come ho già detto altrove, la benevolenza delle sue maniere verso la sua giovane moglie; ma la rispettosa tenerezza da lui manifestata in ogni accenno a lei, in quella occasione, e il modo quasi di riverenza col quale allontanava da sé ogni dubbio sull’onestà di lei, lo levarono ai miei occhi a un’altezza indicibile.
– Io la sposai – disse il dottore – quando ella era molto giovane. La presi con me quando il suo carattere era appena formato. Ero stato felice d’aver contribuito al suo sviluppo. Conoscevo bene suo padre. Conoscevo bene lei. Le avevo insegnato ciò che avevo potuto, per l’amore di tutte le sue belle e virtuose qualità. Se le ho fatto del male, come temo, nell’approfittare (senza volerlo, giuro) della sua gratitudine e del suo affetto, io le chieggo sinceramente perdono.
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