– Mascalzone – dissi, – che ti proponi col mischiarmi ai tuoi perfidi intrighi? Come hai osato di chiamarmi a testimone, scellerato, come se avessimo parlato insieme della cosa?
Eravamo l’uno di fronte all’altro. Gli leggevo chiaramente in viso il suo trionfo segreto; io capivo benissimo che egli m’aveva costretto ad ascoltare le sue confidenze unicamente per trafiggermi, e che m’aveva a bella posta attirato in un trabocchetto. Era troppo. La sua guancia scarna mi stava innanzi come un invito, e gli diedi uno schiaffo con tanta forza che la mano mi rimase indolenzita.
Egli mi afferrò la mano, e rimanemmo a lungo così stretti, a guardarci in silenzio; tanto che potei vedere i segni bianchi delle mie dita sparirgli sul viso in un rosso acceso, che in un attimo diventò più acceso.
– Copperfield – egli disse finalmente, con una voce soffocata – diventate matto?
– Lasciami – dissi, strappando la mia mano dalla sua – lasciami, briccone, non ti conosco più.
– Non mi conoscete? – disse, costretto dal dolore alla guancia a portarvi la mano. – Avrete un bel fare, mi conoscerete sempre. Non è una ingratitudine la vostra?
– Io ti ho dimostrato spesso – gli dissi – che ti disprezzo. Te l’ho dimostrato ora più chiaramente che mai. Perché temere che tu faresti peggio di ciò che hai fatto finora? Che altro potrai fare?
Egli comprese perfettamente questa allusione ai motivi che fino allora m’avevano costretto a una certa moderazione nei miei rapporti con lui. Credo che non mi sarei lasciato sfuggire né lo schiaffo, né l’allusione, se Agnese quella sera non mi avesse assicurato del suo fermo proposito di non esser mai sua.
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Avrete Agnese
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