Lo vidi una volta, presto, la mattina del genetliaco della moglie, nel momento ch’ella venne a sedersi nel vano della finestra della stanza dove lavoravamo (come soleva sempre, ma come fece allora con un’aria timida e incerta che mi sembrò molto commovente), prenderle la testa fra le mani, baciarla, e andar frettolosamente via, troppo commosso per rimanere. Vidi lei rimanere nel punto dove egli l’aveva lasciata, rigida come una statua, e poi chinar la testa, e giungere le mani, e piangere, non so dire come angosciosamente.
In appresso, immaginai talvolta nei momenti che rimanevamo soli, ch’ella volesse parlarmi. Ma non disse mai una parola. Il dottore aveva sempre qualche nuovo progetto per farla partecipare, a divertimenti fuori di casa, con la madre; e la signora Markleham, che andava matta per i divertimenti, e che non cercava altro, vi correva con indicibile slancio, e lodava altamente il genero. Ma Annie si lasciava condurre triste e svogliata dove la madre la conduceva, e sembrava non curarsi di nulla.
Non sapevo che pensare, e neppure mia zia, che doveva aver camminato, in varie volte, un centinaio di miglia nella sua incertezza. Il più bizzarro si era che la sola persona che sembrasse arrecare un vero sollievo nella regione segreta di questa infelicità domestica, era il signor Dick.
Mi sarebbe impossibile dire, come sarebbe stato impossibile a lui stesso, quali fossero i suoi pensieri al riguardo, o le sue osservazioni. Ma la venerazione ch’egli aveva per il dottore, come ho ricordato nella narrazione della mia vita scolastica, era illimitata; e vi è una sottigliezza di percezione nel vero affetto, che si lascia indietro, anche quando si tratti dell’affetto di qualche povero animale per l’uomo, perfino l’intelligenza più alta.
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Markleham Annie Dick
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