Nel signor Dick questo spirito del cuore, se così posso chiamarlo, vide qualche raggio della verità.
Egli aveva orgogliosamente ripreso a esercitare il suo privilegio, in molte delle sue ore di riposo, di passeggiare su e giù nel giardino col dottore; appunto come soleva passeggiare nel giardino di Canterbury. Ma non appena le cose furono nella condizione già detta, egli dedicò tutte le sue ore di riposo (e si levava più presto per averne di più) a quelle passeggiate. Se non era mai stato più felice di quando il dottore gli leggeva la sua prodigiosa opera, il Dizionario, egli appariva ora veramente infelice, se il dottore non lo traeva di tasca e cominciava. Quando il dottore e io eravamo occupati, egli aveva contratto l’abitudine di passeggiare su e giù nel giardino con la signora Strong, aiutandola a coltivare i suoi fiori prediletti, o a ripulire le aiuole. Forse quell’interessamento e il suo affettuoso sguardo trovavano sempre una rispondenza nei cuori dei due coniugi; ciascuno sapeva che l’altro voleva bene al signor Dick, e ch’egli voleva bene a entrambi; ed egli diventò ciò che nessun altro poteva diventare... un legame fra loro.
Quando penso a lui, e lo veggo, col volto saggio e impenetrabile, passeggiare su e giù col dottore, felice di tutte le parole incomprensibili del Dizionario; quando penso a lui, e lo veggo portare dietro Annie un colossale annaffiatoio, o trascinarsi carponi, occupato in pazienti e microscopici lavori fra le foglioline, esprimendo, come nessun filosofo avrebbe potuto, in tutto ciò che faceva, un delicato desiderio di rendersi utile, mostrando simpatia, fedeltà ed affetto da ogni buco, per così dire, dell’annaffiatoio; quando mi dico che in quei momenti, la sua anima, tutta compresa dalla muta tristezza dei suoi amici, non si smarriva più nelle antiche follie, e che neppure una volta introdusse nel giardino l’infelice re Carlo, che non inciampò un momento nella sua buona volontà riconoscente, che non dimenticò mai che v’era lì qualche malinteso da appianare, mi sento quasi confuso d’aver potuto credere ch’egli non fosse sempre con la testa a posto, specialmente se tengo conto del poco che ho fatto con la mia.
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