Non ho mai veduto mia zia in un’acconciatura simile. Ha indossato un abito di seta color di lavanda, è coperta d’un cappellino bianco, ed è stupefacente. L’ha vestita Giannina, ed eccola che mi guarda. Peggotty è pronta per venire in chiesa, dove vuole assistere alla cerimonia dalla tribuna. Il signor Dick, che deve consegnarmi la mia diletta all’altare, s’è fatto arricciare i capelli. Traddles, con cui avevo l’appuntamento alla barriera, presenta un’abbagliante combinazione di color crema e d’azzurro pallido; e tanto lui quanto il signor Dick danno l’impressione generale d’esser entrambi calzati di guanti dalla testa ai piedi.
Certo, m’accorgo di questo, perché so che è così; ma son distratto, e mi par di non veder nulla. Né credo a nulla di particolare. Pure, mentre corriamo verso la chiesa in carrozza aperta, quel matrimonio fantastico è abbastanza reale per riempirmi d’una strana compassione per quei disgraziati che non vi partecipano e s’affannano a spazzare davanti alle loro botteghe, o si recano alle loro occupazioni quotidiane.
Per tutto il percorso mia zia mi tiene la mano nelle sue. Quando ci fermiamo un po’ prima di arrivare alla chiesa per far discendere Peggotty, che è stata a cassetta, ella mi stringe la mano e mi dà un bacio.
– Dio ti benedica, Trot. Se tu fossi mio figlio, non mi saresti più caro. Questa mattina ho pensato a quella povera cara piccina di tua madre.
– Anch’io. E debbo tutto a te, cara zia.
– Zitto, bambino! – dice mia zia; e con gran cordialità dà la mano a Traddles, che dà la sua al signor Dick, che dà la sua a me, che do la mia a Traddles; e allora tutti arriviamo alla porta della chiesa.
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