Un sogno il sorriso che si riaccende in lei, e le firme di noi tutti, l’una dopo l’altra, sul registro; la mia andata nella tribuna a cercar Peggotty che mi abbraccia in un angolo, e mi dice che ella ha visto sposare la mia cara mamma; la fine della cerimonia, e la nostra uscita.
Un sogno il mio orgoglioso e gioioso passaggio nella navata con la mia dolce moglie a braccetto, a traverso una nebbia di persone appena intravedute, di pulpiti, tombe, banchi, fonti, organi e vetrate in tutte le quali cose fluttuano vaghe memorie della chiesa della mia infanzia, di tanto tempo fa.
Un sogno il mormorìo, mentre passiamo, sulla giovine coppia che noi formiamo, sulla leggiadria della mia mogliettina; la nostra gioia è il nostro cicalio al ritorno in carrozza; Sofia che ci dice che quando aveva sentito domandare la licenza a Traddles (al quale io l’avevo affidata) s’era sentita venir meno, convinta com’era o ché egli l’avesse perduta o che se la fosse fatta rubare in tasca; Agnese che ride allegramente; Dora, così amante d’Agnese, che non se ne vuole separare, e la tiene sempre per mano.
Un sogno l’avvento d’una colazione, con abbondanza di cose buone e sostanziose da mangiare e da bere, alle quali io prendo parte, come farei in qualunque altro sogno, senza la minima percezione del loro sapore; mangiando e bevendo, se m’è lecito dire, nient’altro che amore e matrimonio, perché, come non credo a tutto il resto, non credo alla solidità delle vivande.
Un sogno il discorso che pronunzio come in sogno, senza un’idea di ciò che intendo dire, con la piena convinzione di non aver detto affatto che siamo semplicemente e naturalmente più felici che ci è possibile, in sogno, si capisce.
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