– Dai a Fiorellino i saluti di Betsey Trotwood, al ritorno, e checché accadrà, Trot, non pensar mai di far di Betsey uno spauracchio, perché l’ho vista spesso allo specchio, e so che è già naturalmente burbera e arcigna, senza aggiungervi altro.
Così dicendo, mia zia si legò la testa in un fazzoletto, come era solita fare in simili occasioni; e io l’accompagnai a casa sua. Mi parve, mentre, ferma nel giardino innanzi alla porta, sollevava il lanternino per rischiararmi la via del ritorno, ch’ella mi guardasse di nuovo con una espressione di ansia; non vi badai gran che, troppo occupato com’ero a riflettere a ciò che m’aveva detto, e troppo penetrato, per la prima volta, in verità, dalla persuasione che Dora e io dovevamo crearci il nostro avvenire da noi.
Dora discese in pantofole per venirmi incontro, e si mise a piangere sulla mia spalla, e mi disse che io ero stato crudele e lei era stata cattiva; e credo che io dicessi in sostanza le stesse cose; e tutto finì; e decidemmo che quella piccola disputa sarebbe stata l’ultima, e che non ne avremmo avuta mai una seconda, anche se fossimo arrivati a cent’anni di vita.
Il nuovo affanno domestico da noi sperimentato fu il Torneo delle Domestiche. Il cugino di Maria Anna aveva disertato e s’era andato a nascondere nel buco che formava la nostra carbonaia. Ne fu tratto, con nostra gran meraviglia, da un picchetto armato di suoi commilitoni, che lo ammanettarono e lo condussero via in un corteo che sparse d’ignominia l’ingresso del nostro giardino.
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