Ma per una strana fatalità, quel principio non reggeva mai, e non ci riusciva di trovare il giusto mezzo fra la carne sanguinolenta e la carne calcinata.
Avevo ragione di credere che tutti quei disastri ci costassero molto più che se avessimo avuto da registrare una serie di trionfi. Mi sembrava, consultando i conti dei bottegai, che avremmo potuto pavimentare il pianterreno con mattonelle di burro, in tanta profusione ne consumavamo. Non so se le imposte in quel torno di tempo mostrassero un aumento di domanda nella voce del pepe; ma se il nostro consumo non ebbe influenza sul mercato, bisogna conchiudere che parecchie famiglie ne sospendessero l’uso. E il più meraviglioso si era che non ce n’era mai un acino in casa.
Quanto alla lavandaia, che andava a mettere in pegno la nostra biancheria, e si presentava in uno stato d’ubbriachezza penitente a chiederci scusa, la suppongo una circostanza che può essere capitata parecchie volte a chiunque. Come pure l’incendio del camino, la pompa della parrocchia, e la falsa testimonianza dello scaccino. Ma debbo conchiudere che fummo veramente disgraziati nel prendere in nostro servizio una domestica che aveva una grande passione per i liquori, e che arrotondò il nostro conto corrente con la fornitura della birra presso il birraio con delle aggiunte inesplicabili come «Un quarto di bottiglia di rum (signora C.)»; «Mezzo quarto di ginepro (signora C.)»; «Bottiglia di rum e acquavite (signora C.)». Le parentesi si riferivano sempre a Dora, che aveva dovuto assorbire, a quanto ci fu spiegato dopo, l’intera quantità di tutti quei liquidi incendiari.
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Dora
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