Cominciai a pensare che in quel momento non fosse legittima la sua stessa presenza, anche se non avesse avuto l’abitudine di mettere le zampe nel sale o nella scodella del burro fuso. In quell’occasione esso credé d’esser stato chiamato espressamente per dar la caccia a Traddles; e abbaiava al mio vecchio amico e faceva degli assalti sul suo piatto, con tanta indomabile pertinacia, da formar lui solo l’unico soggetto della conversazione.
Ma conoscendo il cuor tenero di Dora, e come fosse sensibile sul punto del suo favorito, che non si poteva trattar leggermente, non feci alcuna obbiezione. Per la stessa ragione non feci alcuna allusione alla scherma ch’esso faceva coi piatti sul pavimento; né alla cattiva disposizione delle posate, delle oliere e delle saliere, messe in gruppo di cinque o sei, alla rinfusa; né all’ulteriore blocco di Traddles per mezzo dei piatti vaganti e delle bottiglie. Ma non potevo fare a meno dal pensare, mentre stavo in contemplazione del cosciotto di castrato allesso, che mi stava dinanzi, prima di tagliarlo, come avvenisse che i cosciotti che compravamo noi fossero sempre di forma così strana, e che il nostro macellaio avesse per principio di fare incetta di tutte le pecore deformi che venivano al mondo; ma non feci parte a nessuno delle mie riflessioni.
– Amor mio – dissi a Dora – che hai in quel piatto?
Non sapevo spiegarmi perché Dora stesse da alcuni istanti facendo delle piccole smorfie con le labbra, come se volesse far l’atto di baciarmi.
– Ostriche, caro – disse timidamente Dora.
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