Dora se ne stette accanto a me col braccio sulla mia sedia, cogliendo tutte le occasioni, mentre Traddles discuteva con me sulla qualità del vino, per bisbigliarmi all’orecchio che ero stato così buono da non borbottare... Dopo ella ci fece il tè; ed era bello vederla. Pareva che si affaccendasse a fare il tè alla bambola; e io non feci il difficile sulla qualità della bevanda. Poi io e Traddles giocammo un paio di partite a carte, mentre Dora cantava accompagnandosi con la chitarra, e mi parve che il nostro fidanzamento e il nostro matrimonio fossero ancora un bel sogno, e come se la sera in cui la prima volta avevo ascoltato la voce di lei non fosse ancora finita.
Andato via Traddles, io, dopo averlo accompagnato alla porta, tornai nel salotto. Mia moglie piantò la sua sedia accanto alla mia, e mi si sedette a fianco.
– Son tanto spiacente – disse. – Perché non cerchi d’insegnarmi, Doady?
– Debbo prima imparare io – dissi. – Io non ne so più di te, cara.
– Ah! Ma tu puoi imparare – ella rispose: – hai tanta intelligenza, tu!
– Non dire delle sciocchezze, tesoro.
– Io vorrei – ripigliò mia moglie, dopo un lungo silenzio – essere stata in campagna almeno un anno con Agnese.
Stava con le mani sulla mia spalla e col mento sulle mani, fissando con gli occhi azzurri tranquillamente i miei.
– Perché? – chiesi.
– Perché ella avrebbe potuto correggermi, e credo che da lei avrei imparato molto.
– Col tempo s’arriva a tutto, cara. Agnese per molti anni ha dovuto aver cura del padre, come sai.
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