Anche quand’era bambina, era la stessa Agnese che noi conosciamo.
– Mi chiamerai con un nome che io ti dirò? – chiese Dora senza muoversi.
– Quale? – dissi con un sorriso.
– È un nome sciocco – disse scotendo per un istante i riccioli. – Moglie-bimba.
Domandai ridendo a mia moglie-bimba perché voleva che io la chiamassi così. Ella rispose senza muoversi, benché cingendole col braccio la vita avessi avvicinato ancor più ai miei i suoi occhi azzurri:
– Io non intendo, sciocco che sei, che tu non mi debba chiamar più Dora. Voglio soltanto che quando pensi a me, pensi che sono tua moglie-bimba. Quando ti darò dei motivi d’inquietudine, tu dovrai pensare: «Non è che mia moglie-bimba». Quando non saprò accontentarti, tu dovrai dire: «Lo sapevo da tanto tempo che ella sarebbe stata una moglie-bimba». Quando non sarò per te tutto ciò che vorrei essere, e ciò che non sarò forse mai, dovrai dire: «E pure quella sciocca di mia moglie-bimba mi vuol bene!». Perché davvero ti voglio bene.
Non le avevo risposto seriamente, non avendo affatto sospettato, allora, ch’ella parlasse sul serio. Ma fu così felice di ciò che le risposi in tutta sincerità, che il viso le raggiò di gioia prima che le si asciugassero gli occhi. Presto fu davvero mia moglie-bimba; e si sedette sul pavimento fuori della pagoda a sonare tutti i campanelli l’uno dopo l’altro per punire Jip della sua cattiva condotta in quella sera; ma Jip se ne stette sdraiato sulla soglia della sua nicchia, a guardar fuori con la coda dell’occhio, risoluto per pigrizia a non sentirsene infastidito.
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