Talvolta sentivo, per un poco, che mi sarebbe piaciuto avere in mia moglie un consiglio più sicuro, una maggiore ragionevolezza e maggiore fermezza di carattere, per esserne sostenuto e aiutato; che ella fosse dotata del potere di colmare le lacune che in qualche parte sentivo in me; ma comprendevo che una tale felicità non esiste in terra, che non doveva e non poteva esistere.
Ero un marito quasi ragazzo. Non avevo avuto nella vita altre lezioni che gli affanni e i dolori registrati in questi fogli. Se facevo male, e forse mi accadeva spesso, era per un malinteso e per mancanza d’esperienza. Scrivo la pura verità. Non mi gioverebbe cercar d’attenuarla.
Così fu che m’addossai io le cure e gli affanni della nostra vita, senz’altri che li dividesse. Vivevamo presso a poco come prima, nello stesso scompiglio domestico; ma io mi c’ero abituato, ed ero contento di veder Dora quasi sempre serena. Era lieta e gioiosa nei suoi vezzi infantili, mi voleva molto bene e si divertiva come una bambina.
Quando le discussioni alla Camera erano pesanti – parlo della lunghezza, non della qualità, ché sotto questo rapporto non erano mai diverse – e rientravo a casa tardi, Dora non si frenava più, sentendo i miei passi, ma si precipitava per gli scalini per venirmi incontro. Quando la professione conquistata con tanta fatica mi lasciava la sera libera, e potevo scrivere in casa, ella veniva a sedersi cheta accanto a me, anche se era molto tardi, e se ne stava così silenziosa, che spesso la credevo addormentata.
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Dora Camera Dora
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