– Tu sei molto istruito. E sai che uomo dotto, che grand’uomo è il dottore. Sai l’onore ch’egli m’ha sempre fatto. La sua scienza non l’ha fatto superbo. Egli è umile, umile... modesto anche col povero Dick, che è sciocco, e non sa nulla. Io ho fatto salire il suo nome, su un pezzo di carta lungo la corda dell’aquilone, ed è arrivato in cielo fra le allodole. L’aquilone è stato lieto di riceverlo, ed il cielo ne è stato più lucente.
Lo feci estasiare, dicendogli, con la maggiore cordialità, che il dottore meritava il più gran rispetto e la più alta stima.
– E la sua bella moglie è una stella – disse il signor Dick – una fulgida stella. Io l’ho veduta in tutto il suo splendore, Trot. Ma – e in quell’atto avvicinò la sua sedia alla mia, e mi mise una mano sulle ginocchia – vi sono delle nuvole, Trot... vi sono delle nuvole.
Risposi alla sollecitudine espressa dal suo viso dando la stessa espressione al mio, e scotendo il capo.
– Quali nuvole? – disse il signor Dick.
Mi guardava con aria così inquieta, e mi pareva così desideroso di comprendere di che nuvole si trattasse, che mi sforzai di rispondergli pianamente e chiaramente, come cercando di spiegare qualche cosa a un bambino.
– Ve fra loro qualche disgraziata ragione di divisione – risposi. – Qualche infelice motivo di separazione. È un segreto. Può essere una conseguenza inevitabile della differenza della loro età. Può anche derivare da qualche inezia.
Il signor Dick, che seguiva ciascuna frase con un cenno pensoso, s’arrestò quand’ebbi finitole rimase meditabondo con gli occhi fissi su di me e una mano sulle mie ginocchia.
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