– Il dottore non è in collera con lei, Trotwood? – egli disse dopo qualche minuto.
– No. Le è teneramente devoto.
– Allora, ho compreso, figlio mio – disse il signor Dick. .
L’aria di esultanza con la quale egli mi batté le ginocchia e s’appoggiò alla spalliera della sedia, con le ciglia levate più alte che gli fu possibile, me lo fece giudicare più matto che mai. A un tratto si fece di nuovo grave, e sporgendosi innanzi come prima, disse – avendo cura prima di cavar di tasca il fazzoletto, come se veramente rappresentasse mia zia:
– La donna più meravigliosa del mondo, Trotwood. Perché essa non ha fatto nulla per mettere le cose a posto?
– È un argomento troppo difficile e delicata per potervisi mischiare – risposi.
– E tu che sei tanto istruito – disse il signor Dick, toccandomi con l’indice – perché non hai fatto nulla?
– Per la stessa ragione – risposi.
– Allora ho compreso, figlio mio! – disse il signor Dick. E si eresse innanzi a me più esultante di prima, scotendo il capo, e battendosi ripetutamente il petto, tanto da far credere che si stesse cacciando tutto il fiato di corpo.
– Un povero scervellato, Trot – disse il signor Dick – un grullo, uno sciocco... parlo di me, sai! – e si batteva di nuovo – può far ciò che i savi non possono. Io li riconcilierò, figlio mio. Mi proverò. E non potranno biasimarmi, non mi diranno indiscreto. Io non sono che Dick. Chi si cura di Dick? Dick non è nessuno. Fffu! – E fece una soffiatina in proprio dispregio, come per dileguarsi con essa.
Fortuna che si fosse spinto tanto col suo mistero, perché sentimmo la vettura, che riportava a casa mia zia e Dora, fermarsi al cancello del giardino.
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