NOTIZIEEro ammogliato da circa un anno, se la mia memoria, poco felice per le date, non erra, quando una sera, di ritorno da una passeggiata solitaria, pensando al libro che allora scrivevo – perché il mio successo era andato, con la mia costante applicazione, gradatamente aumentando, ed ero occupato allora al mio primo romanzo – passai innanzi alla casa della signora Steerforth. C’ero passato altre volte, durante la mia dimora in quelle vicinanze, ma non mai quando avevo potuto prendere un’altra strada. A ogni modo spesso non era facile pigliarne un’altra, senza fare un tortuoso giro; e così, dopo tutto, finivo col passar di lì con qualche frequenza.
Arrivando dinanzi a quella casa, non le volgevo mai più di un’occhiata, e filavo rapidamente via. La vedevo oscura e triste. Le più belle stanze non davano sulla strada, e le finestre, vecchie e strette, pesantemente incorniciate, che non erano mai state allegre, sembravano quasi lugubri, così accuratamente chiuse e difese dalle tendine. V’era un passaggio coperto a traverso un cortile lastricato, che conduceva a un ingresso caduto in disuso; e v’era un finestrino tondo che dava sulla scala, in disaccordo con le altre finestre, perché era il solo che non avesse le tendine, sebbene mostrasse l’identico triste e vuoto sguardo delle altre. Non ricordo di aver visto mai un lume sulla facciata. Se io fossi stato un passante come tanti altri, avrei probabilmente supposto che là dentro vi giacesse morta una persona senza figli. Se avessi avuto la fortuna di ignorare ogni circostanza relativa a quel luogo, e l’avessi veduto spesso in quello stato d’immutabile tristezza, avrei forse lasciato sbizzarrire la mia fantasia in molte ingegnose immaginazioni.
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Steerforth
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