Intanto, cercavo di pensarci il meno possibile. Ma il mio spirito non poteva passare innanzi a quella casa e lasciarla, come facevan le gambe; di solito doveva seguire una lunga serie di meditazioni. Quella sera specialmente, continuando la mia strada, evocavo senza volerlo le ombre dei miei ricordi infantili, i sogni più recenti, le speranze vaghe, gli affanni troppo reali e troppo profondi: v’era nell’anima mia un misto di realtà e d’immaginazione, che confondendosi col disegno del soggetto che avevo per le mani, dava alle mie idee una tendenza stranamente romanzesca. Ero immerso, camminando, in una meditazione melanconica, quando una voce al mio fianco mi fece sussultare.
Era una voce di donna, anche. Non mi ci volle molto per riconoscere la piccola cameriera della signora Steerforth, quella che avevo vista una volta in una cuffietta dai nastri azzurri. Non aveva più i nastri azzurri, ora, forse per accordarsi meglio con l’aspetto modificato della casa: non aveva più che un paio di nodi desolati di modesto bruno.
– Per piacere, signore, volete avere la bontà di entrare? La signorina Dartle ha bisogno di parlarvi.
– Vi ha mandato la signorina Dartle? – chiesi.
– Non stasera, signore, ma è lo stesso. La signorina Dartle vi vide passare un paio di sere fa; e mi disse di stare a lavorare sulla scala, e di pregarvi, vedendovi passare un’altra volta, d’entrare, perché vi deve parlare.
La seguii, e le domandai, cammin facendo, come stesse la signora Steerforth. Mi disse che la signora stava poco bene, e quasi non usciva mai di camera.
| |
Steerforth Dartle Dartle Dartle Steerforth
|