Quando arrivammo in casa, fui mandato nel giardino, dov’era la signorina Dartle, alla quale dovevo annunciarmi da me. Ella era seduta su una panca, all’estremità d’una specie di terrazza, dove si dominava la grande città. Era una triste sera, con una luce rossastra in cielo; e la grande città che si scorgeva in lontananza, coi più grandi edifici rischiarati qua e là da quel chiarore funereo, mi parve una compagnia adatta allo spirito di quella selvaggia donna.
Ella mi vide, e si levò un istante per ricevermi. M’apparve ancora più pallida e smilza dell’ultima volta che l’avevo vista, con gli occhi lampeggianti più vivi e la cicatrice più visibile.
Il nostro incontro non fu cordiale. L’ultima volta ci eravamo lasciati in collera; ed eccola ora con un’aria di sdegno in tutta la persona, aria ch’ella non si curava di nascondere.
– M’è stato detto che volete parlarmi, signorina Dartle – dissi, come le fui da presso, e poggiai la mano sullo schienale della panca, rifiutando di sedermi al suo gesto d’invito.
– Se non vi dispiace – ella disse – vi prego di dirmi se quella ragazza è stata rintracciata.
– No.
– E pure è fuggita!
Vidi le sue labbra sottili agitarsi mentre ella mi guardava, come se fossero pronte a coprire Emilia di rimproveri.
– Fuggita? – ripetei.
– Sì! Da lui – ella disse ridendo. – Se non e stata trovata, forse non sarà mai trovata. Forse è morta!
La crudeltà soddisfatta con cui ella sosteneva il mio sguardo, non ebbe mai simile espressione in nessun altro viso.
– Desiderarla morta – dissi – può essere il più pietoso augurio che possa farle una persona del suo stesso sesso.
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Dartle Dartle Emilia
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