– Signorino Davy! – rispose stupito. – Quella sera che nevicava tanto?
– Precisamente! Da allora non l’ho più veduta. La cercai, dopo essermi separato da voi, per parlarle, ma era scomparsa. Non volli allora parlarvi di lei, e non vorrei parlarvene ora; ma è lei la persona che dicevo, e quella alla quale dobbiamo ricorrere. Mi comprendete?
– Troppo giusto, signore – rispose. Discorrevamo con una voce, che era quasi un bisbiglio, e continuammo nello stesso tono.
– Voi dite che l’avete veduta. Credete che possiamo ritrovarla? Perché io non la potrei incontrare che per un puro caso.
– Credo, signorino Davy, di saper dove cercare.
– È già buio. Potremmo uscire insieme, e tentar di trovarla stasera stessa.
Egli acconsentì e si preparò ad accompagnarmi. Senza mostrare di osservar ciò che faceva, vidi che ordinava accuratamente la cameretta, apparecchiava una candela e l’occorrente per accenderla, dava una rimboccatina al letto, e finalmente traeva da un cassetto una veste piegata accuratamente, che già avevo visto indosso ad Emilia, con qualche altro indumento femminile e un cappello che egli mise su una sedia. Non fece alcuna allusione a quei preparativi, ed io tacqui come lui. Certamente quella veste aveva atteso l’Emilia molte e molte sere.
– Una volta, signorino Davy – egli disse, mentre discendevamo la scala – credevo che questa ragazza, Marta, fosse quasi come il fango sotto i piedi di Emilia. Che Dio mi perdoni, non è più così.
Andando innanzi, un po’ per farlo parlare, un po’ per curiosità, gli chiesi notizie di Cam.
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