Egli mi ripeté, quasi con le stesse parole d’una volta, che Cam era sempre lo stesso: «che lavorava senza risparmiarsi, ma che non si lagnava mai e si faceva voler bene da tutti».
Gli domandai che ne pensasse della condizione di spirito di Cam, riguardo all’autore della loro disgrazia. Non c’era da temer qualche cosa da parte sua? Che avrebbe fatto, per esempio, Cam, se avesse incontrato Steerforth?
– Non so, signore – rispose. – Anch’io ci ho pensato parecchie volte, e non so che dire. Ma che importa?
Gli ricordai il giorno che avevamo vagato tutti e tre sulla spiaggia, dopo la scomparsa di Emilia.
– Ricordate – gli dissi – la maniera con cui guardava lontano sul mare, mormorando fra sé: «Chi sa come finirà?».
– Certo, che ricordo! – mi disse.
– E che credete che volesse dire?
– Signorino Davy – egli rispose – io me lo son domandato molte volte, e non ho saputo rispondere. E il più curioso si è, che, sebbene egli sia così buono, non oserei mai di domandarglielo. Non m’ha detto mai una parola meno che rispettosa, ed è probabile che ora non mi parlerebbe diversamente; ma non è un’acqua tranquilla quella dove dormono tali pensieri. È profonda, signore, e non se ne vede il fondo.
– Avete ragione – dissi – ed è questo che non mi lascia tranquillo.
– Come me, signorino Davy – egli soggiunse. – Ancor più, vi assicuro, mi dan da pensare le sue maniere strane; e tutto naturalmente per la medesima ragione. Non so a quali estremi si lascerebbe trasportare, ma spero che quei due non s’incontreranno mai.
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