Egli, che partecipava della mia fiducia, fu dello stesso parere. Così, lasciando che Marta se n’andasse per la sua strada, ce n’andammo per la nostra verso Highgate. Egli mi accompagnò per un buon tratto; e quando ci separammo, con una preghiera per l’esito di questo nuovo sforzo, v’era in lui una nuova pensosa pietà che non mi fu difficile interpretare.
Era mezzanotte quando arrivai a casa. Stavo sulla soglia della porta, in ascolto della profonda voce di San Paolo, il cui suono arrivava fino a me fra una moltitudine di rintocchi d’orologio, quando notai con sorpresa che la porta del villino di mia zia era aperta, e che la pallida luce dell’ingresso si riversava fin sulla strada.
Immaginando che mia zia potesse essere stata ripresa da una delle sue antiche paure, e che stesse osservando il progresso d’un fantastico incendio in lontananza, m’inoltrai per chiamarla. Qual non fu la mia meraviglia scorgendo un uomo nel suo giardinetto!
Egli aveva un bicchiere e una bottiglia in mano, ed era occupato a bere. Mi fermai, tra il denso fogliame al di fuori, perché c’era la luna in cielo, ora, benché velata; e riconobbi l’uomo che una volta avevo creduto fosse un’allucinazione del signor Dick, e che una volta avevo incontrato con mia zia nelle vie della città.
Non soltanto beveva, ma mangiava, e, mi parve, con ottimo appetito. Nello stesso tempo guardava con curiosità il villino, come se lo vedesse la prima volta. Dopo essersi curvato per deporre la bottiglia in terra, diede un’occhiata alle finestre, e poi si guardò intorno, con aria impaziente, come se avesse fretta d’allontanarsi.
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