– Sì – egli rispose. – Molto bello, ciò che dici!... Benissimo. Per ora, debbo fare come meglio m’è possibile, immagino.
Nonostante la sua apparente insolenza, egli era umiliato dalle lagrime indignate di mia zia, e uscì scornato dal giardino. Facendo rapidamente due o tre passi, come se fossi arrivato in quel momento, lo incontrai sul cancello, ed entrai, mentr’egli ne usciva. Ci guardammo l’un l’altro da vicino al passaggio, con ostilità.
– Zia – dissi frettoloso: – ecco un’altra volta quell’uomo che viene a impaurirvi. Lasciate che gli parli io. Chi è?
– Figlio mio – rispose mia zia, prendendomi per il braccio – entra, e per lo spazio di dieci minuti non mi dir più una parola.
Ci sedemmo nel salottino. Mia zia si ritirò dietro l’antica ventola verde, avvitata sulla spalliera della sedia, e di tanto in tanto, per un quarto d’ora, non fece che asciugarsi gli occhi. Poi uscì, e si venne a sedere accanto a me.
– Trot – disse mia zia – è mio marito.
– Vostro marito, zia? Io credevo che fosse morto!
– Morto per me – rispose mia zia – ma vivo.
Ammutolii di stupore.
– Betsey Trotwood – disse mia zia con compostezza – non ha l’aria d’un soggetto capace di sentimenti d’amore; ma vi fu un tempo, Trot, che ella credeva ciecamente a quell’uomo; un tempo, Trot, che ella gli voleva sinceramente bene; che non avrebbe indietreggiato innanzi a nessuna prova di devozione e di affetto. Egli la compensò col dilapidarle la fortuna e con l’infrangerle il cuore. Allora ella mise, una volta e per sempre, ogni sensibilità in una fossa, la ricolmò di terra e l’appiattì ben bene.
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Trotwood Trot Trot
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