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      – Mia cara, mia buona zia!
      – Lo trattai – continuò mia zia, mettendo come il solito una mano sulle mie – con grande generosità. A tanta distanza di tempo, posso dire che lo trattai con grande generosità, Trot. S’era comportato con tanta crudeltà, verso di me, che avrei potuto ottenere una separazione favorevolissima ai miei interessi; ma non volli. Egli dissipò in un batter d’occhio ciò che gli avevo dato, precipitò sempre più in basso, sposò un’altra donna, credo, diventò un avventuriero, un giocatore e un truffatore. Ciò che è diventato oggi, l’hai veduto. Ma era un bell’uomo... quando lo sposai... – disse mia zia, con un’eco nella voce del suo antico orgoglio e della sua ammirazione; – e lo credevo... com’ero sciocca!... l’onore in carnato.
      Mi strinse la mano e scosse il capo.
      – Egli ora non m’è più nulla, Trot, meno di nulla. Ma piuttosto che vederlo punito per i suoi misfatti (come gli avverrebbe, se s’aggirasse in questo paese), gli do più denaro che posso, quando riappare, perché se ne vada. Ero una sciocca quando lo sposai; e a questo riguardo lo sono ancora, perché non vorrei vedere duramente trattata l’ombra delle mie illusioni. Perché gli volevo bene sul serio, Trot.
      Mia zia cacciò un profondo sospiro, e si diede una lisciatina alla veste:
      – Ecco, mio caro! – ella disse. – Ora tu sai il principio, il mezzo, la fine, tutto minutamente. Di questo non parleremo più mai; e tanto meno ne parleremo con gli altri. È la storia delle mie sciocchezze. Teniamocela per noi, Trot!
      XLVIII


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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