– E anche di far ragionevole me – disse Dora, timidamente. – Non è vero, Doady?
Feci un cenno d’assentimento alla leggiadra domanda delle sopracciglia levate, e le baciai le labbra socchiuse.
– Non serve a nulla – disse Dora, scotendo il capo e facendo tinnire gli orecchini. – Tu sai che sono una bambina, e non hai dimenticato come ti dissi di chiamarmi sin dal principio. Se te lo dimentichi, temo che tu non mi vorrai mai bene. Sei sicuro di non pensare a volte, che... sarebbe stato meglio...
– Meglio che, mia cara? – perché ella s’era arrestata a mezzo.
– Niente – disse Dora.
– Niente? – ripetei.
Ella mi cinse con le mani il collo, e si mise a ridere, e si diede l’epiteto di sciocca, e nascose il viso sulla mia spalla in una tale profusione di riccioli che fu una fatica sgombrarnelo e fissarlo.
– Non sarebbe stato meglio non tentare di formare lo spirito della mia mogliettina? – dissi, ridendo di me. – È questa la domanda. Sì, davvero, è questa.
– È questo che tu hai tentato? – esclamò Dora. – Oh, che cattivo!
– Ma io non ci proverò più – dissi. – Perché io le voglio bene così com’è.
– Senza scherzo... veramente? – chiese Dora, facendomisi più da presso.
– Perché dovrei cercar di cambiare – dissi – ciò che m’è stato così prezioso per tanto tempo? Tu non puoi mostrarti migliore di quando sei veramente tu, mia cara Dora; e noi non faremo altri tentativi temerari, ma torneremo alle nostre antiche abitudini per esser felici.
– Per esser felici! – rispose Dora. – Sì, tutto il giorno! E tu non ci baderai se a volte le cose andranno un po’ male.
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