– No, no; – dissi. – Noi cercheremo di fare del nostro meglio.
– E non mi dirai più che facciamo cattivi gli altri – aggiunse Dora carezzevolmente – è vero? Perché, sai, è una cattiveria!
– No, no – dissi.
– È meglio esser creduta sciocca che cattiva, no? – disse Dora.
– Meglio esser semplicemente Dora che chi sa che, in questo mondo.
– In questo mondo! Ah, Doady, è un posto largo!
Ella scosse il capo, volse i suoi gioiosi lucenti occhi su di me, mi baciò, scoppiò in un’allegra risata, e balzò su Jip, per mettergli il collare nuovo.
Così finì il mio ultimo tentativo per trasformare un poco Dora. Non ero stato bene ispirato a farlo; non potevo sopportare la mia saggezza solitaria; non potevo dimenticare che ella m’aveva chiesto di chiamarla la sua piccola moglie-bimba. Risolsi di far da me solo quanto era possibile per migliorar le cose tranquillamente; ma previdi che il massimo sarebbe stato sempre poco, a non voler di nuovo far la parte del ragno completamente in agguato.
E l’ombra che volevo non fosse più fra noi, doveva gravare interamente sul mio petto. Come fu?
L’antico sentimento della mia infelicità m’invase tutto. Se mai era diverso, era più profondo; ma era più indefinito che mai, e lo sentivo come una nota di musica melanconica avvertita fiocamente nella notte. Amavo caramente mia moglie, ed ero felice; ma la felicità che avevo vagamente sperato, una volta, non era la felicità che godevo: mancava sempre qualche cosa.
In adempimento del patto fatto con me stesso, di tracciare in queste carte il racconto fedele della mia vita, di nuovo la scruto, accuratamente, e ne rivelo i segreti.
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Dora Dora Dora Doady Jip Dora
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