Questa era la disciplina alla quale tentai d’assoggettare il mio cuore, quando cominciai a pensare. E così il secondo anno fu molto più felice del primo; e, quel che è più, la vita di Dora fu tutta un raggio di sole.
Ma quell’anno non rafforzò la fibra di Dora. Avevo sperato che delle mani più delicate delle mie sarebbero venute ad aiutarmi a modellarle il carattere e che il sorriso d’un bimbo avrebbe mutato in donna mia moglie-bimba. Invano. Lo spirito ondeggiò un momento sulla soglia della sua piccola prigione, e, ignaro di quella cattività, mise le ali.
– Quando potrò correre di nuovo come prima, zia – diceva Dora – farò correre Jip. Sta diventando pesante e pigro.
– Credo, mia cara – disse mia zia, lavorando tranquillamente accanto a lei – che abbia una malattia più grave della pigrizia. Son gli anni, Dora.
– Credete che sia vecchio? – disse Dora, stupita. – Mi sembra strano che Jip possa esser vecchio.
– È un inconveniente al quale tutti siamo soggetti, piccina, a misura che andiamo innanzi nella vita – disse mia zia, allegramente. – Io ne risento molto più di prima, te ne assicuro.
– Ma Jip – disse Dora, dandogli uno sguardo di compassione – anche il piccolo Jip! Oh, poverino!
– Spero che vivrà ancora a lungo, Fiorellino – disse mia zia carezzando sulla guancia Dora, che s’era sporta sull’orlo del canapè per guardar Jip, il quale rispose levandosi sulle zampe di dietro, e sforzandosi, nonostante l’asma, d’arrampicarsi sulla padroncina. – Quest’inverno farò foderare con la flanella la sua casetta, e son certa che la primavera prossima ne verrà fuori più fresco che mai, come i fiori.
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