Il signor Dick non avrebbe ceduto ad anima viva la candela accesa che portava in mano. Traddles rimaneva spesso in fondo alla scala, guardando in su e assumendosi l’incarico dei lieti saluti di Dora alla più cara ragazza del mondo. Noi formavamo veramente una lieta processione, e mia moglie-bimba vi appariva la più lieta di tutti.
Ma, a volte, quando me la prendevo fra le braccia e la sentivo sempre più leggera, m’invadeva un’indescrivibile tristezza, come se mi avvicinassi a una ignota regione glaciale che m’intirizziva la vita. Evitavo di definire questo sentimento, e cercavo di nasconderlo a me stesso, finché una sera, che m’incombeva più uggioso, dopo aver sentito mia zia gridare il saluto d’addio: «Buona sera, Fiorellino», sedetti al tavolino, e piansi pensando: «Oh, che nome fatale, e come il fiore appassisce sul suo stelo!»
XLIX.
UN MISTERORicevei una mattina per posta, datata da Canterbury e indirizzata al Doctor’s Commons, la seguente lettera che lessi con una certa sorpresa.
«Mio caro signore,
«Circostanze indipendenti dalla mia volontà hanno, per un considerevole lasso di tempo, rotto un’intimità che quelle rare occasioni, datemi dai miei doveri professionali, di contemplare le scene e gli eventi del passato, coloriti dalle prismatiche sfumature della memoria, m’ha sempre largito, come sempre deve continuare a largirmi, dolci commozioni di non comune natura. Questo fatto, mio caro signore, congiunto con la segnalata dignità che i vostri meriti vi hanno conquistata, mi vieta dal presumere di aspirare alla libertà di rivolgermi al compagno della mia giovinezza con l’appellativo familiare di Copperfield!
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