Andando insieme a impostarla in città, io e Traddles, avemmo un lungo colloquio, facendo un gran numero d’ipotesi, inutili a riferirsi. Nel pomeriggio chiamammo anche mia zia a consiglio; e la nostra collettiva e unica conclusione fu di trovarci puntualmente all’ora dell’arrivo del signor Micawber.
Benché ci trovassimo nel luogo fissato un’ora prima del tempo, il signor Micawber era già lì in attesa. Se ne stava con le braccia incrociate, appoggiato al muro, guardando i comignoli dell’edificio, con un’espressione sentimentale, come se fossero i rami intrecciati degli alberi che avevano dato conforto d’ombre alla sua giovinezza.
Avvicinatici, le sue maniere ci apparvero alquanto più impacciate e un po’ meno solenni di una volta. Egli aveva, per quella escursione, abbandonato l’abito nero di prammatica, e indossato il soprabito e i calzoni aderenti di una volta, che non portava con la stessa aria d’un tempo. A poco a poco, conversando con lui, vedemmo riapparire qualche cosa dell’antico signor Micawber; ma lo stesso occhialetto non gli ricadeva sul petto con l’antica eleganza, e lo stesso solino, benché delle stesse formidabili antiche dimensioni, appariva piuttosto gualcito e umiliato.
– Signori – disse il signor Micawber dopo i primi saluti – noi siamo amici nella necessità, e veramente amici. Permettetemi di assumere informazioni riguardo al benessere fisico della signora Copperfield in «esse» e della signora Traddles in «posse», supponendo, cioè, che il mio amico Traddles non sia ancora unito con l’oggetto del suo affetto, per la buona e la cattiva sorte.
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