Noi lo ringraziammo per la sua cortesia, e gli rispondemmo nello stesso tono. Egli poi attrasse la nostra attenzione sul muro, e stava per cominciare: «Io vi assicuro, signori», quando m’avventurai a fargli una rimostranza per quella sua cerimoniosa forma d’apostrofe, pregandolo di parlarci con la familiarità d’una volta.
– Mio caro Copperfield – egli rispose, stringendomi la mano – la vostra cordialità mi opprime. Questo ricevimento a un rotto frammento del tempio, che una volta fu chiamato Uomo... se mi è lecito d’esprimermi così... dà indizio di, un cuore che fa onore alla nostra comune natura. Stavo appunto per osservare che io posso contemplar di nuovo il tranquillo luogo ove tra scorsero alcune delle più felici ore della mia esistenza.
– Ore allietate, certo, dalla presenza della signora Micawber – dissi. – La signora sta bene, spero?
– Grazie – rispose il signor Micawber, il cui viso s’annuvolò a quella domanda: – sta così così. E questa – disse il signor Micawber, con un melanconico cenno del capo – è la prigione di King’s Bench, dove per la prima volta nel giro di parecchi anni, la schiacciante pressione delle obbligazioni pecuniarie non era proclamata di giorno in giorno da voci importune che si rifiutassero di lasciarne libero l’ingresso; dove non era un martello sulla porta che potesse esser picchiato dai creditori; dove non si esigeva alcun servizio personale, e dove quelli che vi mandavano in prigione attendevano al cancello! Signori! – disse il signor Micawber. – Quando l’ombra di quelle punte di ferro sulla sommità dell’edificio di mattoni veniva a riflettersi sulla ghiaia del viale, vedevo i miei bambini divertirsi a seguire coi piedi il laberinto dell’ombra, evitando le linee oscure.
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