Mia zia poggiò il gomito sul tavolinetto rotondo che si teneva di solito accanto, squadrando intenta il signor Micawber. Nonostante l’avversione con la quale consideravo il proposito di allettarlo insidiosamente a una rivelazione ch’egli non aveva intenzione di fare, l’avrei certo in quel momento costretto a parlare, se non l’avessi visto intento ad atti e movimenti strani, come per esempio a metter la buccia di limone nel calderotto, lo zucchero nel vassoio, lo spirito in una brocchetta vuota, e a tentar con la massima fiducia di versar l’acqua da un candeliere. Sentii la crisi prossima, e la crisi scoppiò. Egli respinse tutto ciò che aveva dinanzi, si levò dalla sedia, cavò di tasca il fazzoletto e ruppe in pianto.
– Mio caro Copperfield – disse il signor Micawber, nascondendo il viso – questa è un’operazione che più d’ogni altra richiede lo spirito sereno e il rispetto di sé medesimo. Non mi sento capace di eseguirla. Non m’è possibile.
– Signor Micawber – dissi – che cosa avete? Parlate, vi prego. Pensate che siete fra amici.
– Fra amici, signore! – ripeté il signor Micawber; e tutto ciò che aveva tenuto nascosto gli scappò fuori. – Santo Cielo, è appunto perché sono fra amici che mi vedete in questo stato. Che c’è, signori? Che non c’è? C’è la malvagità, ecco che c’è; c’è la vigliaccheria, l’inganno la frode, il complotto, ecco che c’è; e il nome di questo cumulo di porcherie si chiama... Heep.
Mia zia batté le mani, e noi sussultammo tutti come degli ossessi.
– La lotta è finita!
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Micawber Copperfield Micawber Micawber Micawber Santo Cielo
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