La foga con cui pronunciava quelle frasi, che quasi lo soffocavano, l’ardore e la velocità con cui s’avvicinava al nome li Heep, pronunciato con veemenza poco meno che meravigliosa, erano terribili; ma quando si lasciò cadere su una sedia, tutto in sudore e fumante, e guardò in giro, con una faccia su cui s’avvicendavano tutti i colori dell’arcobaleno, e un’infinita successione di bernoccoli che gli apparivano in fretta sul collo e poi andavano a germogliargli in fronte, aveva tutta l’aria d’essere sotto un colpo mortale. Feci l’atto di soccorrerlo, ma m’allontanò con un cenno della mano e continuò:
– No, Copperfield!... Nessuna comunicazione fra noi... se prima la signorina Wickfield... non avrà ottenuto riparazione del male fattole da quel briccone consumato di Heep. (Io son persuaso ch’egli non avrebbe avuto la forza di pronunziare tre parole, se non fosse stato per la meravigliosa energia che gl’infondeva la vicinanza di quel nome)... Sia un segreto inviolabile... per tutti... senza alcuna eccezione... Oggi a otto, all’ora della colazione... che tutti i qui presenti... compresa vostra zia... e questo gentilissimo signore... si trovino all’albergo di Canterbury... dove sarò anch’io con mia moglie... Canteremo in coro il ricordo dei bei giorni passati... e smaschererò quell’infame, quello scellerato di Heep. Non ho più nulla da dire... nulla più da sentire... Corro immediatamente... non posso stare in compagnia... sulle peste di quel dannato traditore di Heep!
Con quest’ultima ripetizione, nella quale superò tutti i suoi sforzi anteriori, della parola magica che l’aveva sostenuto fino a quel momento, il signor Micawber uscì a precipizio dal villino di mia zia, lasciandoci in un tale stato di eccitazione, d’aspettazione e di meraviglia, che ci ridusse a una condizione poco migliore della sua.
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