Ma io non lo avevo mai sentito lagnarsi per il suo lungo peregrinare; mai udito d’essere stanco, o scoraggiato.
Dora l’aveva veduto molte volte, dopo il nostro matrimonio, e gli voleva molto bene. Lo riveggo ancora in piedi accanto al canapè, col berretto in mano, e gli occhi azzurri di mia moglie-bimba levati verso di lui in atto di timida meraviglia. A volte la sera, all’ora del crepuscolo, quand’egli veniva a trovarmi, lo conducevo a fare la sua pipata nel giardino, e insieme passeggiavamo su e giù; e allora l’immagine della sua casa abbandonata, e l’aria di pace ch’essa aveva ai miei occhi infantili la sera quando il fuoco ardeva e intorno gemeva il vento, mi tornavano vividamente in mente.
A quell’ora, una volta, egli mi disse che la sera innanzi uscendo di casa aveva trovato Marta che l’aspettava, e che ella gli aveva raccomandato di non lasciar Londra per nessun motivo, finché non l’avesse riveduta.
– V’ha detto perché? – chiesi.
– Gliel’ho domandato, signorino Davy – egli rispose – ma essa dice sempre poche parole, e se n’è andata subito, appena avuta la mia promessa.
– V’ha detto quando si farà rivedere? – domandai.
– No, signorino Davy – rispose, passandosi pensosamente una mano sul viso. – Le ho domandato anche questo; ma m’ha detto che non poteva dirlo.
Siccome da parecchio tempo avevo risoluto di non incoraggiarlo con speranze fallaci, dissi solo, a questa notizia, che speravo che l’avrebbe subito riveduta. Mi tenni per me tutte le mie supposizioni, che erano, del resto, abbastanza deboli.
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