Una quindicina di giorni dopo, passeggiavo solo una sera nel giardino. Ricordo quella sera benissimo. Era la seconda nella settimana d’attesa fissataci dal signor Micawber. Aveva piovuto tutto il giorno, e v’era un sentore d’umido nell’aria. Le foglie eran gravi di acqua sugli alberi; ma la pioggia era cessata, e benché il cielo fosse ancora oscuro, gli uccelli speranzosi cantavano allegramente. Mentre passeggiavo su e giù nel giardino, l’orizzonte cominciò a chiudermisi d’intorno e le loro piccole voci si tacquero; e quello speciale silenzio che è proprio d’una sera simile in campagna quando anche i più leggeri arbusti son calmi, prevalse, rotto appena da qualche stilla di pioggia dai rami bagnati.
V’era accanto al villino una specie di pergolato d’edera, attraverso il quale si poteva scorgere, passeggiando, la strada di fronte. Mi accadde di volger gli occhi a quel punto, mentre pensavo a molte cose; e vidi di lì un’ombra, che si piegava vivamente verso di me e mi faceva dei cenni.
– Marta! – dissi, andando alla sua volta.
– Potete venir con me? – ella chiese, con un bisbiglio commosso. – Sono stata da lui, ma non era in casa. Gli ho scritto un biglietto dicendogli dove venire a trovarci, e gliel’ho lasciato sul tavolo. M’è stato detto che sarebbe ritornato subito. Potete venire immediatamente?
Risposi, varcando all’istante il cancello. Ella fece un gesto frettoloso con la mano, come per invocar la mia pazienza e il mio silenzio, e si volse verso Londra, donde, come dimostrava la sua acconciatura, era arrivata in gran fretta a piedi.
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Micawber Londra
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