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      Mentre andavamo su, usci s’aprivano e teste facevano capolino; e gente andava giù. Di fuori, prima d’entrare, avevo visto donne e bambini affacciati alle finestre fra i vasi di fiori; e pareva che noi avessimo destato la loro curiosità, perché erano quelli specialmente gli osservatori che facevan capolino dagli usci socchiusi. Era una larga scalinata di legno, con una massiccia e scura balaustrata, con cornici sulle porte, ornate di fiori e frutti scolpiti, e grandi strombature alle finestre. Ma tutti questi segni di antica grandezza erano in triste decadenza: il sudiciume, l’umidità e gli anni avevano indebolito il pavimento, che in molti punti era rotto e perfino pericoloso. Qualche tentativo era stato fatto, si vedeva, per infondere nuovo sangue a quella struttura indebolita, col riparare quell’antico e prezioso legno con legno ordinario; ma era come il matrimonio d’un vecchio nobile rovinato con una miserrima plebea: l’una e l’altra parte si ritiravano da quell’unione male assortita. Parecchie finestre sulla scala erano chiuse o addirittura murate. In quelle che rimanevano non v’era quasi più traccia di vetri; e a traverso le incorniciature tarlate per cui sembrava entrasse l’aria cattiva per non uscirne più, scòrsi altre case nella stessa condizione, e giù un vicino cortile, che era il mondezzaio comune del casamento.
      Andammo su fino all’ultimo piano. Due o tre volte sulla scala, mi parve d’osservare nella penombra le pieghe d’una gonna che ci precedeva. Svoltando per fare l’ultimo ramo di scala che era fra noi e il tetto, vedemmo distintamente la gonna fermarsi per un istante innanzi a una porta.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261