Poi la persona girò la maniglia, ed entrò.
– Chi è? – disse Marta, con un bisbiglio. – È entrata nella mia camera, e io non la conosco.
Io l’avevo riconosciuta. Con mia gran meraviglia avevo visto i lineamenti della signorina Dartle.
Alla mia conduttrice mormorai qualche parola per dirle che era una donna che io conoscevo; e non avevo ancora finito, che sentimmo, di dove eravamo, giunger la sua voce, pur non comprendendo ciò che diceva. Marta, meravigliata, ripeté il cenno di seguirla, e mi condusse pianamente su; e, poi, per una porticina che sembrava non avesse serratura, e che essa spalancò con una spinta, mi fece entrare in una specie di piccolo ripostiglio vuoto, poco più grande d’una credenza, dal tetto basso e inclinato. Fra quel camerino e la stanza ch’ella chiamava sua, v’era una porticina di comunicazione socchiusa. Ivi ci fermammo, ansanti dopo la salita, ed ella mi mise pianamente la sua mano sulle labbra. Della camera attigua vedevo solo che era piuttosto grande; che v’era un letto, e dei quadretti di bastimenti sulle pareti. Non potevo vedere né la signorina Dartle, né la persona alla quale ella aveva parlato. Neanche la mia compagna poteva, perché il mio posto d’osservazione era migliore del suo.
Regnò per un momento un silenzio mortale. Marta mi teneva una mano sulle labbra, e aveva l’altra levata in atto d’ascoltare.
– M’importa poco ch’ella non sia in casa – disse Rosa Dartle con alterezza. – Non la conosco. Io sono venuta a veder voi.
– Me? – rispose una morbida voce.
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