Io gli strinsi la mano.
– Questo è tutto?
– V’è ancora dell’altro – egli rispose se posso dirlo, signorino Davy.
Continuammo a camminare, e per un bel tratto, prima ch’egli si decidesse a parlare. Non piangeva quand’egli faceva le pause che io segnerò con dei puntini. Soltanto si raccoglieva per spiegarsi con maggiore chiarezza.
– Io l’amavo... e amo la sua memoria... tanto... che non potrò farle credere che io sia felice. Potrei soltanto esser felice... col dimenticarla... e temo che non potrei tollerare che le si potesse dire che l’ho dimenticata. Ma se voi, che siete così istruito, signorino Davy, riusciste a dirle qualche cosa che le facesse credere che non ho sofferto molto, pure amandola e compiangendola; qualche cosa che le facesse credere che non sono stanco della vita, e che pure spero di vederla senza macchia dove non arrivano i tiri dei malvagi e dove riposano gli stanchi... qualche cosa che potesse calmarle l’anima addolorata, e pure non farle pensare che io possa mai ammogliarmi, o che qualche altra possa esser mai per me ciò che era lei... vi pregherei di dirlo... e che prego per lei... che m’era così cara.
Gli strinsi la mano, e gli dissi che avrei eseguito l’incarico come meglio avrei potuto.
– Grazie, signore – egli rispose. – Siete stato molto buono venendomi incontro. E siete stato molto buono accompagnando mio zio fin qui. Signorino Davy, mia zia verrà a Londra prima ch’essi partano e si troveranno ancora una volta insieme; ma io so che non lo rivedrò più. Ho deciso così. Non ce lo diciamo, ma sarà così, e sarà meglio.
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