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      – No. La roba mia! – rispose mia zia. – Agnese, mia cara Agnese, finché ho creduto che fosse stata perduta da vostro padre, non ho fiatato, non ho detto a nessuno, neanche a Trot, che avevo depositato qui il mio denaro. Ma ora so che ne risponde questo signorino, e io lo voglio. Trot, vieni a fartelo dare!
      Veramente non so se mia zia credeva ch’egli tenesse il denaro nel fazzoletto; ma il fatto sta che ella scoteva e tirava Uriah come se ne fosse convinta. M’affrettai a separarli, ed assicurai mia zia, che noi avremmo fatto di tutto per fargli restituire fin l’ultimo centesimo di quanto aveva indebitamente percepito. Questa assicurazione e pochi momenti di riflessione la calmarono; ma ella non parve affatto sconcertata da ciò che aveva fatto (benché non si possa dire lo stesso del suo cappellino) e riprese dignitosamente il suo posto.
      Negli ultimi pochi minuti, la signora Heep si era sgolata a gridare al figlio d’essere «umile»; e s’era inginocchiata in giro innanzi a noi, facendo le promesse più stravaganti. Suo figlio la fece risedere; poi, mettendosi accanto a lei con un’espressione torva, tenendole un braccio, ma non rudemente, mi disse con uno sguardo selvaggio:
      – Che volete che faccia?
      – Vi dirò io quel che dovete fare – disse Traddles.
      – Copperfield non ha dunque la lingua? – mormorò Uriah. – Io farei tutto per voi, se poteste assicurarmi che gliel’hanno tagliata.
      – Il mio Uriah sarà umile! – esclamò la madre. – Non badate a ciò che dice, miei buoni signori!
      – Ciò che bisogna fare – disse Traddles – è questo.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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