Così Traddles rimase per quest’ultimo scopo (sarebbe stato poi rilevato dal signor Dick); e il signor Dick, mia zia ed io, ci avviammo a casa del signor Micawber. Separato dalla cara fanciulla alla quale io dovevo tanto, pensando all’abisso dal quale era stata tratta, forse, quella mattina – provai un senso di gratitudine per il tempo infelice della mia infanzia che m’aveva fatto far la conoscenza del signor Micawber.
La casa del signor Micawber non era lontana. Siccome l’uscio di strada si apriva nel salotto, ed egli vi entrò con la fretta che gli era speciale, ci trovammo subito nel seno della famiglia. Il signor Micawber, esclamando: «Emma, vita mia!» si precipitò nelle braccia della moglie. La moglie cacciò uno strillo e s’abbandonò all’amplesso del marito. La signorina Micawber, che accudiva l’innocente nuovo venuto al quale aveva alluso la madre nella sua ultima lettera a me diretta, ne fu profondamente commossa. Il nuovo venuto si mise a salterellare. I due gemelli espressero la loro gioia con parecchie sconvenienti ma innocenti dimostrazioni. Il signorino Micawber, il cui carattere pareva fosse stato inacidito da precoci disinganni, e il cui aspetto era diventato tetro, si lasciò vincere dai suoi sentimenti più miti e si mise a piangere gonfiando le guance.
– Emma – disse il signor Micawber, – la nuvola s’è dileguata dal mio spirito. La reciproca fiducia, da noi mantenuta per tanto tempo, è ristabilita, per non soffrir più alcuna interruzione. Ora, sii pur la benvenuta, o povertà! – esclamò il signor Micawber, effondendosi in lagrime.
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