Non è da molto, forse, calcolando a settimane e mesi, ma per la mia triste esperienza si tratta d’un tempo molto lungo e penoso.
Non mi si dice più: «Aspettate altri pochi giorni.» Ho cominciato segretamente a temere che forse non spunterà più il giorno in cui mia moglie-bimba scorrazzerà al sole con Jip, il suo vecchio compagno.
Par ch’esso sia diventato improvvisamente vecchio. Forse non trova più nella sua padroncina quello che lo animava e lo ringiovaniva: ma si trascina lentamente, ha la vista debole, non ha più forza nelle gambe, e mia zia si duole che invece d’abbaiarle contro come una volta, le si appressi, di sul letto di Dora, e le lecchi la mano.
Dora ci guarda sorridendo, ed è leggiadra . Non si lagna mai, non pronuncia una parola impaziente. Ci dice che siamo molto buoni con lei; che sa che il suo caro marito s’affatica a curarla; che mia zia non riposa, ed è sempre sveglia, attiva e gentile.
A volte i piccoli uccellini delle zie vengono a farle visita, e allora parliamo del giorno del nostro matrimonio e di tutto quel tempo felice.
Che strano riposo, che strana quiete par vi sia nella mia vita – e in tutta la vita, in casa e fuori – quando me ne sto nella tranquilla, ordinata, semioscura cameretta, con gli occhi di mia moglie-bimba rivolti verso di me, e le sue piccole dita strette intorno alla mano. Molte e molte ore io passo così seduto; ma in tutto quel tempo solo tre episodi mi son rimasti più vivi in mente.
È mattina; e Dora, tutta attillata dalle mani di mia zia, mi mostra come i suoi bei capelli si arriccino ancora sul guanciale, e come sian lunghi e lucenti, e come le piaccia di lasciarli fluttuare ad agio nella rete che ora essa porta.
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Jip Dora Dora
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