Non m’è possibile persuaderlo. Molte volte oggi mi son ritirato a piangere solo, in un angolo. Mi son ricordato: «Chi pianse per questa separazione fra i vivi e i morti». Ho ripassato in mente questa istoria piena di pietà e di grazia. Ho tentato di consolarmi e di rassegnarmi; ma credo di non esservi riuscito. No, non posso credere che verrà assolutamente la fine. Io tengo la sua mano nella mia, il suo cuore nel mio; veggo il suo amore per me, vivo in tutta la sua forza. Non riesco a scacciare una pallida vaga ombra di speranza ch’ella sarà risparmiata.
– Ti debbo parlare, Doady. Ti debbo dire una cosa che da qualche tempo avevo in mente di dirti. Non mi ascolti?
– Sì che ti ascolto, cara.
– Perché non so che penserai, o che tu abbia potuto pensare, a volte. Forse tu hai pensato la stessa cosa. Doady caro, temo che io fossi troppo ragazza.
Metto la testa accanto alla sua sul guanciale, ed ella mi guarda negli occhi, e parla con un fil di voce. Gradatamente, mentre continua a parlare, sento, col cuore angosciato, che mi parla di sé in tempo passato.
– Temo, caro, che fossi troppo ragazza. Non solo negli anni, ma in esperienza, nei pensieri e tutto. Ero così sciocca! Credo che sarebbe stato meglio se ci fossimo voluti bene come due bambini, e poi ce ne fossimo dimenticati. Avrei cominciato a pensare che non avevo le qualità per maritarmi.
Tentai di trattenere le lagrime, e rispondere: «O Dora, amor mio, non meno di me per ammogliarmi».
– Non so – e scosse i riccioli della testa, come una volta.
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Doady Dora
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