Ero troppo ragazza e troppo sciocca, lo so. Molto meglio così.
Agnese è giù, quando io entro nel salotto; ed io le do il messaggio. Ella scompare, e mi lascia solo con Jip.
La sua pagoda cinese è accanto al fuoco. Esso se ne sta allungato all’interno, sul suo letto di flanella, e geme tentando di addormentarsi. La luna splende in cielo con la sua luce più chiara. Mentre contemplo la notte, le lagrime mi scorrono rapide, e il mio cuore indisciplinato è messo a dura prova, a durissima prova.
Seggo accanto al fuoco, pensando con cieco rimorso a tutti quei sentimenti che ho alimentato in segreto, dopo il mio matrimonio. Penso a ogni più futile inezia svoltasi fra me e Dora, e sento la forza della verità che son le inezie che fanno la somma della vita. Dal mare della mia memoria, si leva l’immagine della mia diletta fanciulla come io la conobbi la prima volta, abbellita dal mio e dal suo giovane amore, con tutto il fascino di cui simile amore è capace. Sarebbe stato meglio se noi ci fossimo amati come due ragazzi, e poi ce ne fossimo dimenticati? Cuore indisciplinato, rispondi!
Come passi il tempo, non so. Finalmente son riscosso dal vecchio compagno di mia moglie-bimba. Più irrequieto di me, esso si trascina fuor della pagoda, e mi guarda, e va alla porta, e geme per andar su.
– Stasera, no, Jip. Stasera, no.
Mi si avvicina lentamente, mi lecca la mano, e leva gli occhi velati al mio viso.
– O Jip, forse mai più.
Si stende ai miei piedi, si stende come per dormire, e con un gemito lamentoso, è spirato.
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Jip Dora Jip Jip
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