Nel mio spirito esso è strettamente associato a un vento tempestoso o alla più semplice menzione della spiaggia del mare. Tenterò di scrivere ciò che accadde con la stessa chiarezza con cui la veggo; perché non lo ricordo, no, ma lo veggo in atto, quasi si svolga di nuovo innanzi ai miei occhi.
Avvicinandosi rapidamente il giorno della partenza degli emigranti, la mia cara Peggotty (quasi straziata per me, al momento del nostro incontro) venne a Londra. Io ero continuamente con lei, suo fratello e i Micawber (che già s’erano legati con essi in amicizia); ma non vedevo mai l’Emilia.
Una sera che mancava pochissimo alla data fissata per la partenza, ero solo con Peggotty e suo fratello. La nostra conversazione s’aggirava su Cam. Ella ci narrava con quanto affetto egli le aveva detto addio, e con quanta forza e tranquillità s’era sempre comportato; specialmente negli ultimi tempi che la sua segreta ambascia si era rincrudita. Era un soggetto sul quale quella buona creatura parlava di continuo; e il nostro interesse nell’ascoltare le tante cose che aveva da dirci non era inferiore al suo nel narrarmelo.
Mia zia e io stavamo allora sgomberando dai due villini di Highgate: io avevo l’intenzione di fare un viaggio all’estero, e lei di ritornare nella sua villetta di Dover. Temporaneamente ci eravamo stabiliti in un albergo di Covent Garden. Mentre mi dirigevo all’albergo, ripensando, dopo la conversazione di quella sera, a ciò che s’era svolto nell’ultima mia visita a Yarmouth, fra Cam e me, esitai nel primo proposito di lasciare una lettera per l’Emilia nell’atto di congedarmi da suo zio a bordo del bastimento, e pensai che sarebbe stato meglio scriverle subito.
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