Indietreggiò d’un passo dalla poltrona, come per sfuggire all’osservazione della signora Steerforth; e m’esaminò con uno sguardo penetrante che non mosse più, non stornò più da me.
– Mi duole di vedervi vestito a lutto, signore – disse la signora Steerforth.
– Disgraziatamente sono vedovo – dissi.
– Voi siete molto giovane per avere sperimentato una così gran perdita – ella rispose. – Vi faccio le mie condoglianze. Spero che il tempo vi porterà qualche sollievo.
– Spero che il tempo – io dissi, guardandola in viso – ci porterà a tutti qualche sollievo. Cara Steerforth, tutti dobbiamo avere questa speranza, nelle nostre più gravi disgrazie.
La gravità delle mie maniere e le lagrime che m’inondavano gli occhi la fecero sussultare. Parve che tutto il corso dei suoi pensieri si arrestasse a un tratto, e cambiasse di direzione.
Tentai di dominare la mia commozione col pronunziare dolcemente il nome del figlio, ma la voce mi tremò. Lo ripeté anche lei due o tre volte, piano. Poi, volgendosi a me, disse, col calma affettata:
– Mio figlio è ammalato?
– Molto ammalato.
– L’avete veduto?
– Sì.
– Vi siete riconciliati?
Non potevo dir di sì, non potevo dir di no. Ella volse leggermente la testa verso il punto dove che tutto il corso dei suoi pensieri si arrestasse col moto delle labbra a Rosa: «Morto!».
Perché alla signora Steerforth non venisse in mente di guardar di dietro e di leggere nel viso della compagna ciò che non era ancora preparata a sapere, mi affrettai a sostenere il suo sguardo; ma avevo visto Rosa Dartle alzar violentemente le mani al cielo, con un gesto di disperazione e d’orrore, e poi nascondersi il viso.
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