– Ricordi quando me la fece? – continuò Rosa. – Ricordi quando me la fece, seguendo l’istinto che tu gli avevi dato, e l’orgoglio che tu secondavi? Ricordi che mi sfigurò per sempre? Guardami, morrò con l’impronta della sua collera; e piangi e gemi sul modo come tu lo avevi allevato.
– Signorina Dartle – supplicai. – Per l’amor del cielo...
– Debbo parlarle! – ella disse, volgendosi a me e sfolgorandomi dagli occhi. – State zitto, voi. Guardami, dico, madre orgogliosa di un orgoglioso e perfido figlio! Piangi sul modo come l’avevi allevato, piangi per averlo corrotto, piangi perché l’hai perduto e perché l’ho perduto io!
Ella stringeva il pugno, e tremava in tutto il corpo gracile e smilzo, come se la sofferenza la consumasse a poco a poco.
– E tu ti offendevi del suo orgoglio – ella esclamò. – E tu non potevi perdonargli la sua superbia. E tu opponevi all’orgoglio e alla superbia, quando i tuoi capelli erano diventati grigi, le qualità che li avevano creati il giorno che lo desti alla luce. Tu che dalla culla cominciasti a farlo ciò che era diventato, e impedisti il germoglio di ciò che sarebbe stato! E ora hai il compenso di tanti anni d’educazione!
– Oh, signorina Dartle, non vi vergognate d’esser così crudele?
– Vi ripeto – essa rispose – che debbo parlare. Nessuno al mondo me lo impedirà mentre son qui. Gli volevo più bene io di quanto gliene volevi tu! – soggiunse, volgendosi a lei con aria selvaggia. – Io avrei potuto volergli bene, senza domandargli d’esserne ricambiata. Se fossi stata sua moglie, sarei stata la schiava dei suoi capricci per una sola parola d’amore ogni anno.
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