Perciò non c’era tempo da perdere.
Quella stessa sera presi a parte il signor Micawber, e gli affidai il compito di frapporsi tra il pescatore Peggotty e la notizia della recente catastrofe. Egli se l’assunse con tutto il cuore, promettendo d’intercettare qualunque giornale che, senza quella precauzione, avrebbe potuto rivelargliela.
– Prima di arrivare a lui – disse il signor Micawber, battendosi il petto – deve passare su questo corpo!
Il signor Micawber aveva inaugurato, per adattarsi al suo nuovo stato sociale, certa baldanzosa aria d’avventuriero, non ancora ribelle alla legge, ma alquanto vivo e aggressivo. Poteva essere scambiato per un figlio del deserto, avvezzo a vivere fuori dei confini della civiltà, e in procinto di ritornare nelle foreste natie.
S’era munito, fra l’altro, d’un abito completo di tela cerata, e d’un cappello basso di paglia, incatramato all’esterno. In quella grossolana acconciatura, con un telescopio ordinario da marinaio sotto l’ascella, e la sagace abitudine già contratta d’interrogare il cielo come in sospetto di una burrasca, egli si reputava molto più nautico del pescatore Peggotty. Tutta la sua famiglia si era conformata, per dir così, alle circostanze. Trovai la signora Micawber coperta del più discreto cappellino immaginabile, ermeticamente chiuso e legato sotto il mento, e avvolta in uno scialle, assicurato con un grosso nodo alla cintura, che la legava (come ero stato legato io, il giorno che arrivai in casa di mia zia) come una specie di fagotto.
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