Ricordo che mi fermai una volta, con una specie di melanconia che non aveva nulla di gravoso o di amaro. Ricordo che quasi credei che si operasse in me un mutamento.
Arrivai nella valle che il sole ancora splendeva sulle remote altezze di neve che la cingevano come nuvole eterne. Le basi delle montagne, che formavano la gola in cui giaceva il piccolo villaggio, erano d’uno splendido verde; e alte su quella tenera vegetazione crescevano foreste di oscuri abeti, che fendevano come cunei quelle masse di neve, e reggevano le valanghe. Più in alto, dirupi, rocce grige, ghiacci lucenti e piccole oasi di verde, perdentisi gradatamente sulle cime nevose. Qua e là dei punti sul fianco della montagna, e ogni punto era una casa. Quei villini solitari, rimpiccioliti dalle alture torreggianti, sembravano troppo piccoli anche come balocchi. Anche il villaggio raccolto nella valle, appariva minuscolo, col suo ponticello di legno sul torrente che precipitava spumando contro le rocce infrante, e si dileguava rumoreggiando fra gli alberi. Nell’aria calma arrivava l’eco di canti lontani... eran voci di pastori; ma, si poteva, come una nube lucente fluttuava sul fianco della montagna, si poteva quasi credere che i canti uscissero dalla nube, quasi una musica celestiale. A un tratto, in quella serenità, la voce della Natura mi parlò, e mi persuase a posar la testa sull’erba, e a piangere come non avevo mai pianto ancora, da quando Dora era morta.
Avevo trovato un pacchetto di lettere che mi aspettavano da pochi minuti, ed ero uscito a far due passi fuor del villaggio, per leggerle, mentre mi si preparava il desinare.
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Natura Dora
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