Mi misi la lettera in petto, pensando a ciò che ero un’ora prima. Quando udii i canti svanire, e vidi la nube diventar più scura, e tutti i colori nella valle morire, e la neve d’oro sulle vette delle montagne, diventare una parte remota del pallido cielo serale, sentii la notte dileguarmisi dallo spirito, e tutte le sue ombre dissiparsi. Non v’era più alcun nome per l’amore che io provavo per lei, da quell’istante diventata più cara che mai al cuor mio.
Lessi molte volte quella lettera d’Agnese, e le risposi prima d’andare a letto. Le dissi che avevo sentito più che mai bisogno del suo aiuto; che senza di lei non ero, e non ero mai stato, ciò che ella credeva; ma che da lei ero spronato ad esserlo, e attingevo la forza di tentarlo.
E tentai. Altri tre mesi, e sarebbe passato un anno dal principio della mia ambascia. Determinai di non prendere alcuna risoluzione prima della fine di quei tre mesi, ma di tentare. In tutto quel tempo non mi mossi da quella valle e dai dintorni. Passati i tre mesi, risolsi di rimanere lontano dal mio paese ancora per qualche tempo, di stabilirmi intanto nella Svizzera, che m’era diventata cara per il ricordo di quella sera, di ripigliar la penna, e lavorare.
Ricorsi umilmente a Colui al quale Agnese mi aveva raccomandato; interrogai la Natura, non mai interrogata invano; e presi a cuore le vicende umane, che già mi lasciavano indifferente. Non passò molto che avevo in quella vallata quasi tanti amici come a Yarmouth; e quando la lasciai, prima dell’inverno, per Ginevra, e la primavera seguente ritornai, i loro saluti cordiali mi sembrarono familiari, benché non fossero espressi in parole inglesi.
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